Zero lavoro, zero reddito e zero diritti. L’invalidità e la depressione. L’autoreferenzialità del Centro per l’impiego.
E’ friulano ed ha una cinquantina d’anni. Aveva anche un lavoro stabile (dal 2008) e una famiglia con prole.
Faceva l’autista, “In tanti anni non ho mai perso un punto di patente”, tiene a precisare Osvaldo, nome di fantasia.
Agli inizi del 2012, durante un turno notturno, accusa un grave malore: si scoprirà in seguito che ha un grave disturbo cardiaco che necessita di serie cure e dal quale non potrà guarire.
Dopo una breve degenza ospedaliera ed un periodo di convalescenza, torna al lavoro ma, come da prassi, viene inviato alla Commissione medica: qui inizia il suo calvario.
Dapprima gli viene accertata l’inidoneità permanente a guidare, con conseguente perdita delle patenti professionali.
“Ho bruciato tutto le ferie, sono stato ancora in malattia, non capivo perché non ci fosse una soluzione a questo mio problema lavorativo legato alle mie condizioni di salute”: finché, dopo quattro mesi, presentato ricorso, viene revocato l’esito del primo accertamento: può guidare ma con il divieto del lavoro notturno e del sollevamento carichi maggiori di 15kg.
Ma alla ditta un dipendente del genere risulta scomodo.
Per cui, nel 2013 viene ‘spostato’ nell’organico di una cooperativa come facchino: qui il lavoro è più affaticante di quello notturno, incompatibile con le sue condizioni di salute.
Compreso (perché glielo fanno capire coi fatti) che non c’è posto per lui, agli inizi del 2014 perde definitivamente il lavoro, firmando per una buonuscita di 6.000€, più nove mesi di indennità di disoccupazione e l’attestazione di un’invalidità del 60%.
“Finché non mi sono ammalato vivevamo bene, eravamo tranquilli”, spiega rammaricato Osvaldo, “poi mi sono ammalato, mi hanno fatto mobbing, mi facevano lavorare dalle 6 di mattina alle 6 di sera, ho sbagliato a fidarmi di loro, finché ho perso il lavoro e son caduto in una bruttissima depressione”. Tant’è che finì anche nella voragine dell’alcolismo: “Mi son chiuso per mesi in una cantina, a bere davanti a una Tv, come uno zombie. Poi mi son fatto coraggio, sono addirittura entrato in una comunità e ho smesso di bere. Ma sono stati mesi terribili.”
Infatti, sul piano degli affetti familiari le conseguenze furono devastanti: incomprensioni e angosce interruppero il matrimonio con una separazione di fatto.
“Questo senso di impotenza mi ha ucciso: ho fatto sicuramente i miei errori ma non è possibile lasciare una persona in queste condizioni!”.
Osvaldo, infatti, non percepisce più reddito dal Novembre del 2014.
Ha un’invalidità riconosciuta del 60% che, ai fini pratici, non dà diritto a nulla: “Devi averla almeno del 67% per avere 270€ al mese. Mi son trovato su una strada, son tornato a vivere da mia madre, a 50 anni suonati…”
“Lavoro non ce n’è”, precisa Osvaldo e presenta la parte più difficile della sua esistenza: “Non trovo nulla, perché non posso più svolgere lavori pesanti ed ho appena la licenza media, ho iniziato a lavorare a 15 anni”.
Prosegue quindi con la descrizione della finta assistenza prestatagli dal sistema del welfare: “Non solo non percepisco né disoccupazione, né pensione, ma mi hanno preso in giro. Il Centro per l’impiego è stato ridicolo. Mi hanno fatto i complimenti per il curriculum: ma se ho l’invalidità a che mi serve? L’Assistente Social ha premuto perché facessi riferimento al mio breve problema di alcol (era meglio se non andavo dallo psicologo, non mi è servito a nulla, tentava solo di far emergere le mie debolezze): ‘Alcologia fa punti!’, disse. Ma, alla fine, non essendoci stato ‘aggravamento’ (perché ne sono uscito dopo sei mesi) non è servito a nulla, è solo una macchia indelebile”.
“Quindi mi hanno nuovamente fatto i complimenti per il curriculum e io, nuovamente, ho ribadito che non mi poteva servire perché sono inabilitato a svolgere quelle mansioni che ho sempre svolto. E allora mi son cadute le braccia, quando la tipa del Centro per l’impiego mi ha detto: ‘E’ meglio non inserire l’invalidità, è controproducente!’”.
“A me è sembrato un manicomio. Mi hanno allora infilato nel progetto PIPOL, promettendo un paradiso di opportunità. Mesi fa mi hanno chiamato per farmi aderire a Garanzia Giovani: a 50 anni e passa! Nemmeno il corso di falegname ho potuto fare perché riservato a stranieri o ad italiani in stato di disagio”.
“Ma Osvaldo, Lei non è in stato di disagio?”, chiediamo superficialmente.
“No, perché per quella maledetta ISEE, che considera la dichiarazione dei redditi dell’anno precedente e quindi i redditi dell’anno prima (!)… avendo tre anni fa percepito la disoccupazione e la buonuscita, risulto ricco!”
“Mi sento fottuto” e si ripete: “Non è possibile lasciare una persona in queste condizioni!”
Osvaldo non chiede l’elemosina: egli vuole soltanto un lavoro, compatibile con le sue condizioni di salute, per poter ripartire con la sua vita.