Il Trattato di Pace fra lo Stato italiano e le potenze alleate vincitrici della Seconda Guerra Mondiale, firmato a Parigi il 10 febbraio di 70 anni fa, fu “un momento di fallimento del diritto internazionale, punitivo verso l’Italia, una sorta di diktat”.
E’ questa la riflessione del professor Maurizio Maresca, del Dipartimento di scienze giuridiche e Diritto dell’Unione Europea dell’Università di Udine, che in occasione del convegno “Il Trattato di Pace, settant’anni dopo”, promosso dalla Regione FVG e dall’Unione degli Istriani, in collaborazione con l’Iniziativa centro europea e il Comune di Trieste, e moderato dall’on. Roberto Antonione, ha tracciato il quadro storico giuridico di quell’accordo che non si limitò soltanto a regolare le questioni pendenti a seguito degli avvenimenti bellici, ma impose anche la cessione di territori sui quali la sovranità dell’Italia era stata riconosciuta in epoca antecedente all’avvento del regime fascista.
Un Trattato che, in ogni caso, come ha poi rilevato Maresca, “non aveva previsto una appropriazione dei beni dei residenti nei territori ceduti: i diritti degli individui erano stati salvaguardati. Un riconoscimento però poi tradito perché non è stato osservato quanto scritto nell’intesa”.
Nel suo intervento Maresca ha anche sottolineato il fatto che l’accordo conteneva la previsione per Trieste di un porto di rango internazionale, con un lavoro comune tra Italia e Jugoslavia, che al contrario sul porto hanno rivaleggiato.
“Quando istituimmo il Giorno del Ricordo” – ha successivamente riferito l’on. Piero Fassino in un messaggio registrato – avevamo piena consapevolezza che era necessario restituire dignità e riconoscimento a una pagina di storia per troppo tempo negata”.
Per Fassino dopo 70 anni “vi è il rischio che eventi così lontani possano essere offuscati e coperti dall’oblio, e invece noi abbiamo il dovere di non dimenticare affinché quel che è accaduto non accada più”.
Anche per l’on. Roberto Menia, che promosse in Parlamento l’istituzione del Giorno del Ricordo, “il senso di questa giornata è proprio quello della riconquista spirituale, della memoria. Della riconquista della lingua, della cultura, delle tradizioni. E tutto ciò che rigenera lo spirito – ha affermato – è un seme che poi si propaga”.
Per l’on. Milos Budin il convegno di oggi, che fa parte di un ciclo di quattro conferenze dedicate al Trattato di Pace e al Giorno del Ricordo, ha l’obiettivo di “lavorare assieme, fare di tutto per superare le lacerazioni che hanno portato le dolore vicende del passato”. Nella consapevolezza che “superare le divisioni e lavorare per l’unità porta a una società più forte, a una maggiore integrazione tra paesi vicini”.
Tra i relatori, oggi, anche l’on. Gianfranco Fini, protagonista assieme all’on. Luciano Violante del marzo 1998 al teatro Verdi di Trieste di uno storico incontro, che segnò l’inizio del processo di rimozione del tabù storico sull’Esodo e sulle foibe.
Per lui in questi quasi 20 anni sono accadute “tante cose, quasi tutte positive, perché quel processo di una memoria condivisa è andato avanti, ci sono stati momenti di sincera rappacificazione”, anche se negli ultimi tempi c’è il rischio di confondere nazionalismo con patriottismo. Per Fini il primo “è un valore: ogni popolo ha il dovere di preservare identità, lingua, storia, cultura, tradizione”. Al contrario “il nazionalismo, cioè la presunzione di essere superiori ad altri popoli, è un disastro che provoca conflitti e poi guerre”.
1 comment
Gianni1956 says:
Feb 16, 2017
In compenso la sinistra estrema, riduzionista e, talvolta, anche negazionista si reca in Parlamento a propagandare le proprie assurde teorie (nelle foibe sono finiti solo nazisti e fascisti….etc) costruite sulla base di fantomatici studi negli archivi della polizia segreta titina e dei partigiani rossi. Come se, per documentarsi sui campi nazisti, andassimo solo a leggere il Mein Kampf. Insomma personcine acclamate dai soliti granitici mononeurone… anche locali. I portatori del pensiero unico e giusto….. Che dire….democratici a prescindere….