Internet permette, al pari di una lunga attesa in un aeroporto internazionale, di comparare la stampa di mezzo mondo. Leggere giornali stranieri, anche datati, è un gioco piacevole e spesso edificante, perché ci avvicina alle notizie del mondo ascoltando quella famosa “altra campana” di cui si sente tanto la mancanza. Se poi si sta attendendo un aereo in ritardo, è un modo per impegnare il tempo…
I giornali degli Stati Uniti, che sanciscono la libertà di stampa nel Primo emendamento della Costituzione, forniscono curiosi spunti di comparazione con la Patria italica, dove tale diritto è relegato nelle retrovie, all’articolo 21 della Costituzione, con forti limitazioni legate ai reati d’opinione e contro la morale.
Al di là di questa differenza “costituzionale”, a leggere il New York Times, tra una sfogliata al Corriere della Sera ed una sommaria lettura de La Repubblica, si evince prima di tutto che in Italia si preme sul pedale degli editoriali, delle opinioni e degli orientamenti politici già in prima pagina, a discapito di ciò che è realmente informazione; le testate italiane si schierano in base ad un preciso orientamento politico mentre negli Stati Uniti la “posizione” del giornale è più pacata, calibrata e tendente al neutrale, anche se, comunque, c’è un minimo di influenza editoriale, fisiologica, in ciò che viene scritto.
Sarà che veramente i giornali italiani siano destinati non al pubblico vasto, bensì a quella ristretta cerchia dei mitici “1500 elettori”, ossia parlamentari, magistrati, industriali importanti e personalità influenti che fanno il bello ed il cattivo tempo del Paese?
Parrebbe proprio di si: le chiacchiere politiche, gonfie di retorica autoreferenziale, subissano i fatti, proponendo una visione suggerita della realtà: d’accordo che la realtà è sempre mediata ma la realtà, fortunatamente, non è solo politica.
L’inchiesta a-politica è fortemente voluta dalle redazioni americane: è probabile che la vastità del territorio di riferimento (6 fasce di fusi orari) spinga gli stessi media ad essere più generalisti, per conquistare molti più lettori; i giornali italiani, comparando tirature e vendite (spesso gonfiate dagli apparati commerciali delle concessionarie pubblicitarie), sono certamente di nicchia, più schierati e si fanno acquistare da quelli che la pensano come loro.
Una peculiarità, infine, è estremamente indicativa: mentre le testate italiane dibattono fino alla nausea di impunibilità delle alte cariche dello Stato e del divieto di rendere pubbliche le intercettazioni, quelle americane ricordano il Governatore del Connecticut John Rowland, condannato per corruzione nel 2005 e incarcerato per nove mesi, per aver accettato che una ditta eseguisse gratuitamente lavori di ristrutturazione nella sua casa di vacanza. L’intercettazione telefonica fu la prova schiacciante e venne diffusa in poche ore ai quattro venti.
Alexander Stille, giornalista statunitense molto italiano, docente di giornalismo, riassume così la situazione: “un articolo, negli USA, anche se affronta temi politici, ha più notizia, più lavoro di ricerca; in Italia dipende troppo dalle dichiarazioni dei politici, senza verifica delle parole dei governanti; in Italia, in certi giornali e in certi momenti, ci sono eroici e bravi cronisti. Il problema è che cosa è permesso loro di fare, quali “casi” affrontare. Il pubblico deve sapere che un ministro chiacchiera al telefono con un boss della mafia, che ci sia o non ci sia condanna.”
Ultimo pensiero: un giornalista italiano che per mille euro produce quaranta articoli al mese, spesso con contratti mensili, può permettersi di indagare anche un anno per produrre un solo pezzo?