GIORNALISTI: CONTESTATI RELATORI CORSO AGGIORNAMENTO UDINE

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Sintomatico battibecco tra giornalisti e relatori ad un corso di formazione su profughi e clandestini

formazione continua giornalisti UD 29042016

Non solo una gran perdita di tempo ma un tentativo di indottrinamento vero e proprio.
Questa era l’opinione che molti colleghi hanno espresso oggi, durante e dopo un corso d’aggiornamento professionale tenutosi presso l’Università di Udine.

Sulla perdita di tempo, il riconoscimento è quasi unanime: la “formazione continua obbligatoria” è infatti una bislacca eredità dell’odioso Governo Monti (Dpr 137/2012). La pseudo-riforma delle professioni, infatti, prevede per tutti gli iscritti agli ordini professionali, di frequentare corsi di formazione continua, come una delle condizioni per poter mantenere la propria iscrizione.
Ciò può essere utile e semplice da ‘insegnare’, negli anni, ad un avvocato, un medico, un architetto etc.: nuove leggi (ne sfornano continuamente) e progressi scientifici necessitano sicuramente di un aggiornamento continuo.
Ma per i giornalisti che, all’interno della categoria, si frammentano in migliaia di esperti di singoli ambiti dello scibile umano (cronaca, sport, economia, scienza, ricerca, viaggi, turismo, auto, vela, sci, fondi europei, forze armate, vulcani, Marte, politica, ping-pong, foto, video, web, informatica, giornalismo, editoria, pubblicità, etc.), trovare argomenti d’approfondimento d’interesse comune è impossibile.
C’è si l’aspetto prettamente tecnico e normativo della professione giornalistica, la cosiddetta “deontologia”: ma non mi sembra che da quando ho sostenuto l’Esame di Stato, qualche anno fa, siano state introdotte novità di rilievo.

Il livello, poi, di taluni corsi è imbarazzante.

Mi è capitato di seguire un corso a distanza sui finanziamenti europei, tematica che studio da oltre due anni. Il corso, che ho rapidamente saltato per svolgere il test e prendermi i crediti spettanti, era di una banalità, di una tal leggerezza da far venire in mente Alice nel paese delle meraviglie. Mi sono addirittura preoccupato, avvilito dalla mediocrità e dalla palpabile superficialità della trattazione para-accademica della docente di turno, più propensa ad elogiare l’istituzione europea in sé piuttosto che ad analizzare, con quello spirito critico che fonda il giornalismo, sofismi, ridondanze e complessità avulse d’un sistema così cervellotico come i finanziamenti europei.

Una forzatura, insomma, obbligare i giornalisti ad aggiornarsi: per cui, ogni tanto, nei ritagli di giornate frenetiche con l’agenda sempre in divenire (perché trovare notizie non è come programmare un’udienza per il giorno ‘x’, togliere tonsille sempre in data programmata o concludere i lavori entro la data ultima prevista da un appalto)… ci ritroviamo in giro per palazzi, università, centri congressi etc. per firmare un foglio all’entrata e passare il tempo, chi al tablet, chi al telefono, chi a discorrere in lunghissime pause sigaretta, in attesa della ‘campanella’ d’uscita, ossia la possibilità di firmare di nuovo a conclusione della ‘lezione’ e portarsi a casa i crediti (2,3,5,10) che Mario Monti ci obbliga ad accumulare in numero totale di 60 in tre anni (almeno così mi sembra).

Oggi ad Udine il convegno verteva sulla Carta di Roma, summa di principi deontologici ed esempi pratici su come ‘trattare’ professionalmente i migranti e i temi connessi.
Una miscela di buonismi dalla quale già mi ero messo in guardia, allora recentissima, durante gli studi per diventare professionista: trattasi, sostanzialmente, di utilizzare termini ‘appropriati’ nel definire queste persone e di usare particolari cautele nella loro identificazione. Il buon senso, assieme alla sempre dovuta sensibilità e riservatezza per i  minori ed una conoscenza robusta della lingua italiana, dovrebbero già bastare.
Ma, invece, ci vogliono obbligare (e tanti si lasciano obbligare, sotto il giogo del buonismo a tutti i costi) a forzature ideologiche e professionalmente impossibili.

Un esempio per tutti: il termine “clandestino” è abolito.
E ti spiegano perché, secondo loro: non è un termine giuridico e denota un “razzismo a parole”.
Nella tua mente capisci subito che ti stanno propinando una marea di inutili sofismi perché “clandestino”, in italiano, è qualcosa “di nascosto”, “fuori dalla legalità”. Punto. Negarlo è politica pura, di stampo Boldrini.

Se scrivo devo farmi capire: “clandestino” è italiano, lo capiscono tutti, subito, senza sé e senza ma.
Inoltre, è breve e mi sta anche in un titolo: “protetto sussidiario” (è un neologismo giuridico partorito dalla UE, una ridondanza di rifugiato) non lo capisce nessuno (e mi ‘mangia’ mezzo titolo).
E poi: che ne so io se quei venti omacci che oziano al sole delle belle aree verdi di Udine, sgrillettando i-phone di ultima generazione, intenti a lanciare sguardi voluttuari verso quella giovane mamma che li vede e scappa, sono “richiedenti asilo”, “rifugiati”, “protetti sussidiari”, “beneficiari di protezione umanitaria”, “vittime della tratta”, “migranti irregolari” o ‘prodotti’ di “flussi migratori misti”?

Io scrivo che “un gruppo di profughi nullafacenti, nutriti e vestiti, importuna giovani donne al parco”.
E che “all’arrivo della Polizia, per un controllo di routine, due clandestini, che si trovavano in disparte sono scappati attraverso la boscaglia. Sono stati poi rintracciati sprovvisti di documenti”.

E gli faccio la foto, pure.
Si capisce? Penso di si.
Ledo forse la loro suscettibilità? Chissenefrega. Se uno è mafioso, scrivo “mafioso”.
Io do notizie, non faccio il predicatore.

Inoltre, e questo è quanto emerso non dalla bocca degli oratori ma di alcuni astanti giornalisti, io scrivo per farmi capire e per farmi interprete anche delle istanze della gente, chiamiamoli pure “lettori”.
La gente non ne può più”, ha urlato un giornalista ai due belli che oggi propinavano la supposta della Carta di Roma.
Io devo dire le cose ed esprimere anche il pensiero della gente”, è esploso un altro, facendo eruttare il vulcano dei mugugni che si accumulavano da che iniziò a parlare un nonsisachi giornalista e la sua spalla giurista.
Si son messi proprio ad urlare: “Lei ci racconta sciocchezze!”, “La gente non la pensa così, qui la situazione è insostenibile!”. “Questo è indottrinamento bello e buono!”, “Perché devo scrivere come volete voi?“.

Ecco cos’è la formazione continua dei giornalisti di Mario Monti.
Con l’Ordine prono e succube, in attesa solo di una legge per l’Editoria che confermi almeno in parte le pubbliche prebende ad un sistema che fa acqua da tutte le parti.

Tommaso Botto

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